74.
Si mossero un'ora dopo l'imbrunire.
Uomini, donne e bambini, alcuni dei quali erano appena in grado di camminare, reggevano tutti candele accese. Le nubi basse rimaste in cielo dopo l'acquazzone erano colorate d'arancio da quell'oceano di fiammelle guizzanti.
Si mossero come un'ondata gigantesca mentre le voci si alzavano lentamente in un canto antico. Il mormorio divenne un suono sempre più forte che dilagò al di là del fiume e fece vibrare i vetri delle finestre di Roma.
I profughi delle campagne e i poveri delle città che avevano abbandonato i tuguri d'argilla, le baracche di lamiera ondulata e i ripari di cartone nei villaggi miserabili o nelle periferie sporche avanzarono all'unisono, galvanizzati dalla promessa di Topiltzin che aveva fatto balenare la resurrezione dell'impero azteco sulle terre degli Stati Uniti. Erano disperati all'ultimo gradino della miseria, pronti ad afferrarsi a qualunque speranza di una vita migliore.
Avanzavano lentamente, un passo alla volta, verso le imbarcazioni. Scendevano per le strade che la pioggia aveva riempito di fango e di pozzanghere. I bambini frignavano per la paura mentre le madri li conducevano sulle zattere che ondeggiavano e parevano sul punto di capovolgersi.
Centinaia di persone furono spinte nel fiume dalla calca. Grida di spavento si levavano da una moltitudine di giovani vittime che sprofondavano nell'acqua: molti annegarono o furono trascinati lontano dalla corrente prima che fosse possibile salvarli... un compito quasi impossibile dato che la maggior parte degli uomini era schierata alla retroguardia.
Lentamente, in modo confuso e disorganizzato, centinaia di barche e di zattere cominciarono a muoversi verso l'altra riva.
I riflettori dell'esercito americano e quelli della televisione illuminavano il brulichio. I soldati, inquieti e come ipnotizzati, guardavano la tragica muraglia umana che veniva verso di loro.
Il generale Chandler era sul tetto della stazione di polizia di Roma, al centro dell'altura. Aveva la faccia cinerea e una luce di disperazione negli occhi. Quella scena superava le sue peggiori paure.
Il generale parlò nel minuscolo microfono agganciato al colletto. «Vede, signor presidente? Vede questa pazzia?»
Il presidente fissava il grande monitor nella Situation Room. «Sì, generale, le immagini arrivano chiaramente.»
Era seduto in fondo al tavolo e fiancheggiato dai consiglieri più fidati, da alcuni membri del governo e due dei quattro capi di stato maggiore.
Tutti seguivano lo spettacolo incredibile trasmesso con suono stereofonico e a colori vivaci.
Le imbarcazioni più veloci avevano toccato terra e i passeggeri scendevano in fretta. Solo quando la prima ondata terminò di traghettare e la flotta tornò indietro a prendere altri passeggeri, l'orda serrò le file e avanzò. I pochi uomini che avevano compiuto la traversata camminavano avanti e indietro lungo la riva, armati di megafono, e ordinavano alle donne di muoversi.
Queste reggevano le candele e stringevano a sé i figli, cantilenavano in lingua azteca e intanto incominciavano a salire i pendii da ogni lato dell'altura come un esercito di formiche che si divide intorno a un sasso per poi ricongiungersi dall'altra parte.
Le telecamere mostravano le facce atterrite dei bambini e quelle fanatiche delle madri di fronte alle armi spiegate. Topiltzin aveva promesso che il suo potere divino li avrebbe protetti, e tutti gli avevano creduto stupidamente.
«Mio Dio!» esclamò Doug Oates. «La prima ondata è formata da donne e bambini.»
Nessuno fece commenti. Nella Situation Room tutti guardarono con timore crescente un'altra orda di donne che cominciavano a guidare i figli attraverso il ponte, incontro ai carri armati e alle autoblindo che bloccavano il passaggio.
«Generale», disse il presidente, «può far sparare una salva sopra le loro teste?»
«Sì, signore», rispose Chandler. «Ho ordinato ai miei di caricare a salve. Il rischio di colpire qualche innocente fuori della cittadina è troppo grande per usare proiettili veri.»
«È una decisione saggia», commentò il generale Metcalf. «Curtis sa quello che fa.»
Il generale Chandler si rivolse a uno dei suoi aiutanti. «Trasmetta l'ordine di sparare a salve.»
Il maggiore latrò nella radiotrasmittente: «Sparate a salve!»
Un rombo tonante e un'immensa vampata di fiamma nella notte. Lo spostamento d'aria fu come un colpo di vento e spense molte delle candele portate dalla folla. Il fragore assordante dei cannoni dei carri armati e il crepitio delle armi più piccole riverberarono nella valle.
Dieci secondi. Trascorsero dieci secondi fra l'ordine di sparare e quello di cessare il fuoco, mentre il rombo echeggiava fra le colline basse dietro Roma.
Un silenzio paralizzante, sottolineato dall'odore pungente della cordite, scese sulla moltitudine stordita.
Poi le urla delle donne si levarono, seguite dagli strilli dei bambini atterriti. Molti si buttarono a terra, altri rimasero in piedi, paralizzati dallo shock. Sull'altra sponda ci furono grida immani quando gli uomini, che non avevano potuto attraversare con le mogli e i figli, temettero che fossero morti o feriti.
Scoppiò il pandemonio e per qualche tempo sembrò che l'invasione si fosse arrestata.
Poi si accesero i riflettori sulla sponda messicana, e inquadrarono una figura ritta su una piattaforma portata sulle spalle da un gruppo di uomini vestiti di bianco.
Topiltzin teneva le braccia allargate come se imitasse Cristo, e gridava attraverso gli altoparlanti, ordinando alle donne finite a terra di alzarsi e di avanzare. A poco a poco le donne si calmarono e si accorsero che non c'erano stati morti né feriti. Si levò un'acclamazione assordante, quando i fanatici si convinsero che i poteri di Topiltzin li avessero protetti.
«Quello se ne sta approfittando», disse malinconicamente Julius Schiller.
Il presidente scosse la testa. «È successo tante volte nella storia della nostra nazione. I nostri tentativi umanitari si ritorcono contro di noi.»
«Compiango Chandler», disse Nichols.
Il generale Metcalf annuì. «Sì, adesso tutto ricade sulle sue spalle.»
Era venuto il momento della decisione. Non era più possibile procrastinare.
Il presidente, al sicuro nei sotterranei della Casa Bianca, rimase chiuso in uno strano silenzio. Aveva passato astutamente la bomba a orologeria ai militari, in modo che il generale Chandler diventasse il capro espiatorio.
Adesso era fra l'incudine e il martello. Non poteva permettere che un esercito straniero varcasse indisturbato il confine, ma non poteva rischiare il crollo della sua amministrazione ordinando a Chandler di uccidere donne e bambini.
Nessun presidente si era mai trovato in una simile posizione d'impotenza.
Le donne e i bambini erano arrivati a pochi metri dalle truppe trincerate sulla riva. Quelli che stavano alla testa della colonna che attraversava il ponte internazionale erano già abbastanza vicini per vedere incombere su di loro i cannoni dei carri armati.
Il generale Curtis Chandler aveva all'attivo una lunga e onorevole carriera militare, ma adesso non vedeva nulla davanti a sé, se non il rimorso. La moglie era morta un anno prima al termine di una lunga malattia, e non avevano avuto figli. Era un generale con una sola stella e nel poco tempo che mancava al pensionamento non avrebbe avuto il tempo di ottenere una promozione. Adesso stava sull'altura e guardava centinaia di migliaia di immigranti clandestini che invadevano la sua patria e si domandava perché la sua vita doveva culminare in modo così crudele in quel momento e in quel luogo.
Il suo aiutante aveva un'espressione quasi convulsa. «Signore, l'ordine di sparare.»
Chandler guardò i bambini aggrappati alle mani delle madri, gli occhi scuri illuminati dalle candele.
«Gli ordini, generale?» insistette l'aiutante.
Chandler mormorò qualcosa, ma l'aiutante non sentì a causa del chiasso. «Mi scusi, generale, ha detto: 'Sparate'?»
Chandler si voltò. «Lasciateli passare.»
«Signore?»
«Questi sono i miei ordini, maggiore. Non voglio morire con il rimorso di aver ucciso tanti bambini. E non dica neppure: 'Non sparate', nel caso che qualche stupido comandante di plotone fraintenda l'ordine.»
Il maggiore annuì e parlò nel microfono. «A tutti i comandanti. Il generale Chandler ordina: non fate mosse ostili e lasciate passare gli immigranti attraverso le nostre linee. Ripeto, lasciateli passare.»
Con immenso sollievo, i soldati americani abbassarono le armi e rimasero immobili per qualche minuto. Poi si rilassarono, cominciarono a scherzare con le donne, si inginocchiarono per giocare con i bambini e farli smettere di piangere.
«Mi perdoni, signor presidente», disse Chandler, rivolgendosi all'obiettivo di una telecamera. «Mi rincresce di finire la mia carriera militare rifiutando un ordine del mio comandante in capo, ma penso che date le circostanze...»
«Non si preoccupi», rispose il presidente. «Ha fatto un ottimo lavoro.» Si rivolse al generale Metcalf. «Non m'interessa la posizione di Chandler nell'elenco di anzianità. Voglio che gli venga assegnata un'altra stella.»
«Sarò lieto di provvedere, signore.»
«Ha fatto bene, signor presidente», disse Schiller. Aveva capito che il silenzio del presidente era stato un bluff. «È chiaro che conosceva bene il suo uomo.»
Negli occhi del presidente c'era il riflesso di un sorriso. «Ho prestato servizio con Curtis Chandler quando eravamo tutti e due tenenti d'artiglieria in Corea. Avrebbe sparato su una folla inferocita e incontrollabile, ma non su donne e bambini.»
Anche il generale Metcalf aveva capito. «Comunque, ha corso un rischio terribile.»
Il presidente annuì. «Adesso dovrò rispondere al popolo americano per non essermi opposto all'invasione della loro patria da parte di quegli immigranti clandestini.»
«Sì, ma la sua moderazione sarà un'ottima merce di scambio nei futuri negoziati con il presidente De Lorenzo e gli altri governanti centroamericani», lo consolò Oates.
«Nel frattempo», intervenne Mercier, «i nostri militari e le forze di polizia cattureranno con discrezione i seguaci di Topiltzin e li rispediranno oltre il confine prima che intervengano squadre di volontari armati.»
«Voglio che l'operazione sia condotta nel modo più umano possibile», disse il presidente.
«Non abbiamo dimenticato una cosa, signor presidente?» chiese Metcalf.
«Che cosa, generale?»
«La Biblioteca di Alessandria. Ormai niente può impedire a Topiltzin di rubare tutto.»
Il presidente guardò il senatore Pitt, che era seduto in fondo al tavolo e non aveva aperto bocca. «Ecco, George, l'Esercito è stato tolto di mezzo, e resta soltanto lei. Vuole illustrare il suo piano di ripiego?»
Il senatore abbassò lo sguardo sul tavolo. Non voleva che gli altri vedessero l'espressione di disagio nei suoi occhi. «È un tentativo disperato ideato da mio figlio Dirk. Non saprei come descriverlo altrimenti. Se tutto andrà per il meglio, Robert Capesterre, alias Topiltzin, non potrà mettere le mani sul tesoro della conoscenza degli antichi. Ma se andrà male, come qualcuno sta già ipotizzando, i Capesterre diventeranno padroni del Messico e il tesoro andrà perduto per sempre.»